Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/245

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suffumigi ed incantagioni 189


Io stimandomi aver fatto una bella cosa le raccontai ordinatamente tutta la zuffa, e perchè non fosse lungamente afflitta mi offersi a ricompensarnela. Poi mostrandole l’oca, e la vecchia veggendola, alzò sì grande schiamazzo, che avresti detto che le altre oche volessero rientrare.

Confuso io, e della novità del mio delitto maravigliandomi, la richiesi a che tanto gridasse, e come piuttosto dell’oca le rincrescesse che di me.

Ma ella battendo le mani rispose: hai pur cuor di parlare, o scellerato? Non sai la grave colpa che commettesti? Tu hai uccisa la delizia di Priapo, l’oca a tutte le donne gratissima; or vedi se picciol male hai commesso; che se la giustizia il sapesse ti impiccherebbe; hai polluto col sangue la casa mia fino ad ora inviolata, ed hai fatto sì, che qualunque mio nimico volesse destituirmi dal sacerdozio, il potrebbe.


     Disse, e strappossi le canute chiome
     Dalla tremola testa, e graffiò ’l viso,
     E tanto lagrimò quant’acqua tragge
     Giù per le valli impetuoso fiume
     5Al dileguar delle gelate nevi
     Quando col tuo tepore i ghiacci scioglie
     Austro, e alla terra dà vita novella.
     Tal quel volto coprian gorghi di pianto,
     E mormorando nel turbato petto
     10Udiasi il suon de’ gemiti profondi.


Le dissi allora, non gridare, per dio: io per un’oca ti darò uno struzzo.


Intanto ella sedutasi sul letticciuolo, deplorando la disgrazia dell’oca sua, ed io standomene tutto smarrito, entrò Proselenide col denaro del sagrificio, e vista l’oca ammazzata, e chiestaci la cagione della nostra afflizione,