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4 | capitolo primo |
soltanto o corsari su pei lidi con le catene, o tiranni in atto di comandare ai figliuoli, che mozzino la testa ai padri loro, o oracoli pronunciati in occasion di contagio, e prescriventi il sacrificio di tre o più vergini, o finalmente discorsetti affastellati e svenevoli, e parole e fatti piccantelli e leggieri.2
Quelli che di codeste maniere si nutrono, tanto posson sapere, quanto coloro, che soggiornano fra i tegami, mandar buon odore. E i primi corrompitori della eloquenza (sia detto con pace vostra) voi foste, o Retori, i quali con siffatte gonfie e vote espressioni suscitando non so quai fantasmi, avete fatto sì, che la forza del discorso si è snervata e perduta.
La gioventù non esercitavasi ancora all’arte declamatoria, allorchè Sofocle, ovvero Euripide, trovarono i termini da bene adoperarsi parlando. Ancora nessun fosco pedante avea guasti i cervelli, allor che Pindaro, e i nove Lirici3 non ardivan cantare i versi d’Omero. Nè io veggo, per non parlar solamente de’ Poeti, che Platone e Demostene si applicassero giammai a questo genere di esercizio. L’orazione nobile, e, per così esprimermi, vereconda, non è nè impastricciata, nè ampollosa, ma si regge colla sua beltà naturale.
Non è gran tempo che tale ventosa e sesquipedale loquacità passò d’Asia in Atene, e a guisa di influenza epidemica infettò le menti giovenili diposte ai begli studj, e corruppe le regole della eloquenza, la qual fu costretta cedere, e ammutolirsi.
Chi è più giunto alla fama altissima di Tucidide e d’Iperide? Un sol verso di buon gusto più non comparve, anzi nessun scritto (essendo tutti nodriti del medesimo latte) potè giugnere alla vecchiezza. Nè meglio riuscì la pittura, dopo che osaron gli Egizj ridurre a compendio codest’arte sublime.
Queste ed altre cose stava io un dì declamando, quand’ecco Agamennone venire alla volta nostra, ecu-