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Che garbo è questo, olà, signora mia,
Di favellar con gli altri, e mai zıttire;
Sempre sempre dir mal di chi che sia;
Baciar davanti, e dietro poi ferire;
Saper dovreste bene a quell’età,
Che in buona compagnia ciò non si fa.
Eccovi or quà, taluni giovanotti,
A cui mangiar pur nel ritratto piace.
Son quelli là, galanti zerbinotti,
Più l’un che l’altro al giuoco pertinace.
O ragazze, vi guardi Iddio, che domini
Nel vostro cor l’affetto per quest’uomini!
No, no, che non v’inganno, giovanette,
Parlo per vostro ben, ve ne dò fede.
Eh! certe cose chiare vanno dette;
Chi m’ascolta suo ben fa, se mi crede.
Un marito goloso, o giuocatore,
Amar non vi può mai di vero amore.
La donna idolatrata esser le piace,
Perchè di falso amor giammai ci amò.
È ver, ve n’è qualcuna un po’ fallace,
Ma chi mai senza colpa si trovò?
(V’ho difeso, ma intanto dir vi voglio,
Donne, che vi vorrei con meno orgoglio;
Con maniere gentili e più garbate,
Qual si confanno al vostro gentil sesso,
Così essendo, davver che innamorate!
Ma già tutte così voi siete adesso,
Per costanza e virtude ognor preclare,
Ma qualcuna potrebbe traviare.)
Guardin che bizzarria! L’è un’uom pietoso,
Che vuol dare soccorso al meschinello
Nel ritratto, e non sa quel generoso
Che in segreto s’ajuta il poverello,
Perchè spesso, quel dar con umiltà
D’orgoglio è vel, manto di vanità.