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Ascoltami un pochin, non ti crucciare,
Chè lo stolto corretto esser non brama;
Ma tu, che savio almen ti vuoi chiamare,
Chi ti corregge dêi saper che t’ama.
Se il tossico financo egli t’appresta,
Gli è per vincere il mal, che ti molesta.
E quando senti nel tuo cor pungente
La parola del buon correggitore,
No, non istare a dubitar per niente
Che infermo è il cor di qualche gran malore.
E dove più l’affanno ti martella,
Più forte è il mal, parte più inferma è quella.
Dimmi in sincerità, così tra noi,
Fosti mai qualche volta innamorato?
Filosofo oramai esser non puoi,
Intendo di parlarti del passato.
Ragazze, quando c’è filosofia
Badate, veh! Cupido scappa via.
Se dunque amasti col più grande amore
Qualche donzella, e poi (come sì spesso
Si suol vestir di tante forme un core
Tanto dall’un, quanto dall’altro sesso)
L’abbandonasti, e quasi a suo dispetto
Volgesti ad altro cor l’ardente affetto,
Ti ricorda, per caso se incontrata
Indi l’avrai? Non ti sembrò men bella,
Perchè dall’alto del tuo cor cascata
Era oramai la povera donzella?
Ma, ne’ giorni d’amor, quel suo bel viso
Squarcio non fu per te di Paradiso?
Così chi di sè stesso s’innamora,
Nel giudicar di sè va sempre errato.
Ogni scienza, o virtù, mal s’assapora
Da chi crede che tutto ha già apparato.
Fra le virtù l’è vera quintessenza
L’umiltate, e con lei va sapïenza.