Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
A cui conoscer fece d’esser, pur troppo, bella,
Afferra un tal pe’ baffi, e innanzi a lei l’inchina;
Un altro pe’ capegli a’ piè glielo trascina;
A chi piega il ginocchio, e a chi dà slancio e fiato
A dir: Sì, t’amo, credimi, d’amore sviscerato;
Un qui si strugge e lagrima, l’altro domanda affetto;
V’ha chi gioisce, e l’anima sente balzar dal petto;
E chi querelar sontesi, strappando le basette.
Oh! poverin, di platino è il cor delle donnette,
(Di quelle là già parlo, ma non di voi, o care,
Che siete tanto fervido e salde nell’amare.)
V’è chi appartato incrociasi ambo le braccia in seno,
La fronte, il guardo, il riso, tutto di rabbia è pieno;
Fra questi e quegli accendesi l’ira, e lo sdegno avanza,
È trista la catastrofe ove l’amore ha stanza.
Oh! basta qui, tien l’ali, Musa diletta mia,
Le lenti giù, ritorno colà donde partia......
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Eh! eh! pipistrellaccio, ormai t’arresta
D’un tanto cicalar basso e stentato.
E brevità vuoi tu chiamar codesta?
Il timban dell’orecchio m’hai sfondato.
— Ebben, d’occasion quest’altro scherzo
Ti leggerò, lasciando quello a mezzo. —
“Sta mattina, o miei signori,
“Giunsi al colmo dei dolori.
“Ah! soffrii, soffrii cotanto,
“Ch’ho diritto d’esser santo.
“Voi sapete che nel giuoco
“Nulla vinco, o vinco poco,
“E perciò tutte le sere
“Son battuto nel sedere;
“Ma di ciò mi contentavo,
“Chè d’amare un dì speravo.