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BESTA
A
Caro l’amico mio, tu tel sai quanto
Soffre una madre giunta a disgravarsi,
E ben sai pur qual sia di gioia il pianto
Allor che ’l feto vien bello a mostrarsi,
Se un scarafaggio va financo fuora,
L’ama dippiù, anzi dirò, l’adora.
Giunge un parente, e poi viene un’amica,
Un forestiero arriva, un confidente,
Vien seco lui la vergine pudica,
E a tutti dice allor la partoriente
Tra le mani cullando il suo bambino:
Guardino il bimbo mio com’è bellino.
Così la mente mia soffrì dolori
Atroci a concepir che di sublime,
E al fin dal piccol alvo venne fuori
Co’ versi incarbugliato e colle rime,
Ma come a vero dir ch’io non lo so,
Una rana, che poi Besta chiamò.
L’affetto non le fa veder ben bene
La bruttezza del feto partorito.
Dunque se tel presenta, ti conviene,
Scusami del consiglio troppo ardito,
Ti convien perdonar, se pur ti lice,
Non già il dono, ma almen la donatrice.