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Pagina:Scientia - Vol. IX.djvu/316

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308 scientia

fama grande e, senza ombra di esagerazione da parte mia, imperitura.

Per esso quarantotto Accademie, italiane e straniere, fra le più celebri, lo acclamarono a loro socio; la Società italiana dei XL gli assegnò nel 1868 una medaglia d’oro; la Reale Società astronomica di Londra altra medaglia d’oro gli conferì nel 1872; ebbe nel 1876 dall’Imperiale Accademia Tedesca Leopoldina Carolina dei Naturalisti la medaglia d’oro Cothenius; due volte, nel 1868 e nel 1890, l’Accademia delle scienze dell’Istituto di Francia gli decretò il premio Lalande; di dodici ordini cavallereschi, italiani e stranieri, otteneva le insegne.

Ma nè i successi, nè la grande fama, nò i molti e mai ambiti onori valsero a cambiare l’uomo. L’astronomo divenne celebre; lo scienziato illustre; l’uomo rimase immutato, sempre uguale a sè medesimo. Entusiasta del sapere, leggitore appassionato ed instancabile, pieno di fede nella scienza e nell’avvenire di essa, nemico implacabile dell’ozio, degli accidiosi, della teatralità, della posa, di tutto che del vero avesse solo l’apparenza. Nobilmente onesto, nella sua vita disinteressata e pura, tutto chiese al suo forte ingegno e al suo lavoro, nulla mai alla fortuna o al favore altrui. Diligente fino allo scrupolo, poco tempo potè dare a ricevimenti e conversazioni, ma attese ognora regolarmente alla sua corrispondenza vasta. Lavoratore solitario, a primo incontro riservato, quasi diffidente e freddo, volontieri chiudevasi in un silenzio punto incoraggiante e pieno di riserbo, ma se opportunità o necessità lo richiedevano, oppure se interrogato su questione determinata, prendeva a parlare con grande naturalezza e a lungo, e le sue parole pratiche, sapienti, ricche del più puro idealismo scientifico, raro era che non gettassero vivi e sorprendenti sprazzi di luce sull’argomento al quale si riferivano. In quegli istanti appariva egli più grande di quello che per fama lo si credesse, nè io conobbi uomo che avvicinato più di lui grandeggiasse.

Nell’intimità ebbe modi semplici e spontanei, carattere rigido, impetuoso, a scatti collerico, ma buono. Tutti di sua famiglia, senza distinzione, più che amarlo, l’idolatravano per la sua sostanziosa, e sempre fresca e benefica bontà. Raramente parlava di sè, e il suo discorso era per sistema obbiettivo ed impersonale. Nello scrivere, purchè il volesse, sapeva toccare maestrevolmente la corda del sentimento.