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Pagina:Scientia - Vol. VIII.djvu/10

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geometria non è tutta qui. Altrimenti mentre noi voleremmo fuori della realtà della vita, coi sensi ermeticamente chiusi alle impressioni esterne, chi ci guardasse potrebbe ben a ragione ripetere qualcuno dei frizzi, che ci ha lanciato — con quanta simpatia non so — l’umorista inglese Bernardo Shaw.

No, la geometria sa bene di quel che parla: del mondo fisico. Essa differisce dalla fisica soltanto nel metodo: prevalentemente sperimentale per l’una, deduttivo per l’altra. E anche il metodo perde il suo carattere deduttivo quando si tratta di scoprire. Ai confini della scienza, nelle posizioni di avanguardia, la severità logica è quasi completamente dimenticata. Si va avanti a furia di fortunate induzioni e di esperienze mentali. E non mancano casi in cui si è ricorso a vere e proprie esperienze fisiche. È risaputo che Archimede determinò colla bilancia l’area d’un segmento parabolico e che, nei nostri tempi, il Klein illustrò certe questioni di analisi colla considerazione di correnti elettriche sulle superficie chiuse.1

Considerando la geometria come una scienza applicata, si affaccia subito una questione pregiudiziale. Qual valore positivo si deve attribuire ai teoremi geometrici, dal momento ch’essi riferisconsi a figure ideali, che non è assolutamente possibile di realizzare in modo rigoroso?

È vecchia e ripetuta l’affermazione di Stuart Mill che la retta del geometra non esiste in natura. E nessuno — neanche se matematico — ha mai pensato a contraddire una affermazione così giudiziosa nella sua banalità.

È ormai superfluo ripetere per la millesima volta che le figure geometriche non sono che imagini astratte, schemi che si fanno corrispondere ad oggetti aventi una reale esistenza fisica.

Un filo teso, un raggio luminoso non sono rette; tuttavia la loro visione desta in noi l’imagine della retta. Nè ciò accade perchè in quegli oggetti noi troviamo alcun che di rispondente ad un’imagine che già preesisteva nel nostro cervello come qualcosa d’innato; ma sibbene perchè quando guardiamo il filo o il raggio luminoso senza che ragioni speciali c’indu-

  1. Klein, Ueber Riemann’s Theorie der algebraischen Functionen und ihrer Integrale; Teubner, Leipzig, 1882.