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ESISTE UNA FILOLOGIA INDIANA?



Uno dei titoli maggiori che l’Inghilterra possa accampare alla riconoscenza del mondo civile, è di averci dischiuso un novissimo campo di ricerche con la sua commista commerciale e militare dell’India. Gli studî intorno alla lingua e alla letteratura sanscrita, cominciati per merito di alcuni degli uomini che l’Inghilterra mandava ad amministrare la nuova colonia1, trovarono in Europa ammiratori entusiasti fra i Romantici tedeschi. Per opera di essi e, insieme con essi, del Goethe, si era già determinato un nuovo orientamento degli spiriti verso quella che i Tedeschi chiamano «Weltliteratur» e, in modo particolare, un desiderio intenso di conoscere l’antica sapienza dell’India, di cui solo scarse notizie erano giunte fino allora in Europa. A tale curiosità rispose il libro famoso di Federico Schlegel Ueber die Sprache und Weisheit der Indier (1808), che fu come il battesimo e la consacrazione ufficiale dei nuovi studi. Nei quali fin dal principio si determinarono due diversi indirizzi: l’uno, che si serviva del sanscrito come di un mezzo di ricerca glottologica e come di un elemento essenziale all’indagine comparativa; l’altro, che considerava la lingua e la letteratura iudiana in sè e per sè, come espressione della mentalità di un

  1. Menzioniamo, a titolo d’onore, William Jones (1746-1794), traduttore delle leggi di Manu e della Qakuntalà di Kàlidàsa e fondatore della gloriosa e benemerita Asiatic Society of Bengal; H. T. Colebrooke, spirito superiore di filosofo e di scienziato, e vero fondatore della filologia sanscrita.