Pagina:Seneca - Lettere, 1802.djvu/58

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esempi d’uomini grandi in questo proposito; ma io ti voglio solo addur de’ putti. Si tien memoria di quel Lacone sbarbato ancora, il quale essendo fatto prigione gridava in quella sua lingua dorica: Io non servirò mai; e congiunse anco la fede alle parole: di maniera che essendogli imposto che facesse un mestier da servo, e ignominioso, comandandoglisi che portasse il vaso osceno; battendo la testa nel muro, se la ruppe. Dunque uno è sì vicino alla libertà, e pur serve? Così tu non vorresti che tuo figliuol morisse in questo modo, più tosto che invecchiasse per poltroneria? Perchè dunque turbarti, se il morir con fortezza d’animo è anco cosa puerile? Pensa pur di non voler seguitar gli altri, che ad ogni modo sarai condotto per forza. Fa che sia in potestà tua quel ch’è sottoposto ad altri; non ti verrà lo spirito di quel putto, sì che dichi: non servirò mai? Infelice che tu sei, poichè servi agli uomini, servi alle cose del mondo, e servi anco alla vita; perciocchè levando la virtù del morire, la vita è una servitù. E che cosa ti spinge ad aspettar tanto? Tu hai già consumati tutti quei stessi piaceri, che ti ritardano, e ti ritengono: nessuno t’è più novo, e niuno è che non ti sia in odio per l’esserne già sazio. Già tu sai che sapor abbia il vino, e quale è il mulso: non è differenza alcuna, che per la tua vessica passino cento, o mille anfore, perchè ella è un sacco. Tu sai molto ben che sapor abbino l’ostriche, e i barbi: la tua lussuria non t’ha lasciato cosa intatta per questi anni che seguono; e non dimeno