Pagina:Seneca - Lettere, 1802.djvu/88

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dere, che colui ch’è da molti assediato, sia felice; perocchè a questo tale, quasi a un lago si corre, il quale seccano e turbano. Vano e pigro lo dimandano: e certi altri, che malamente parlano, e mostrano il contrario, tu sai che gli chiamavano felici. Che dunque diremo? Era egli così veramente? Io non faccio nè anco conto di quel che a molti pare, che sia d’un animo troppo orrendo e severo. Aristone solea dire ch’egli più tosto volea un giovine malanconico, che allegro et amator di perturbazioni: perchè diceva non comportar il tempo, che il vino, che essendo novo parve grosso, et aspro, si faccia buono, per aver piaciuto poi nella botte. Ma se lo dimanderanno mesto et inimico de’ suoi progressi, ben gli si converrà nella vecchiezza questa mestizia: perseveri pur ora ad amar la virtù, et a sorbirsi gli studj liberali, non quelli studj, de’ quali basta assai esserne solamente sparso; ma questi, de’ quali si deve tingere l’animo. Oh che dunque? vi è tempo che non si deve imparare? Non; ma siccome è cosa lodevole di studiare in tutti gli anni; così è onesto che non sia lecito in tutti gli anni d’essere instituito. Brutta e ridicola cosa è veder un vecchio, che cominci ad imparar i primi elementi delle lettere. I giovani devono acquistare, et i vecchi servirsi dell’acquistato. Farai dunque a te medesimo cosa utilissima, se farai lui un uomo da bene. Questi veramente sono i benefizj, ma senza dubbio de’ maggiori che siano, che si suol dir che si devono desiderare, et anco fare, i quali non men giovano a fargli, che a ricever-