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100 macchia grigia

grigia, i capelli appena brizzolati, i denti candidissimi, gli occhi celestini, la fronte da uomo intelligente e virtuoso. Piglia tabacco e lo offre. Dichiara ogni anno che non vuole più essere sindaco; poi ci ricasca. Non sa dire di no: tutti, anche i cattivi, lo rispettano e gli vogliono bene. Non l’ho mai sentito pronunciare su nessuno, fosse il più grande scellerato, una parola severa, aspra o pungente: non trova in quella sua anima mite un accento sgarbato nemmeno per l’omeopatia, ch’è tutto dire. Narra molto naturalmente i casi semplici della sua vita, quando, studente all’Università di Padova e ricco di una sola svanzica al giorno, si faceva dare all’osteria il riso stantìo per pagarlo un soldo meno, e ossi di manzo scarnati, e culi di salame: non beveva mai vino. Un dì, avendo visto nella Piazza dei Signori un giuocatore di bussolotti, gli si fece amico, andò a desinare con lui più volte, finchè imparò il segreto della magia, pensando che se la medicina falliva, quest’altra arte lo avrebbe potuto soccorrere. Racconta una interminabile filza di storielle, parte da stare allegri, parte da spaventare.