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il collare di budda 121

bruciava. Svoltato l’angolo della calle del Pistor, nel ramo delle Zotte, in fondo al quale si vedeva brillare il verde dell’acqua e passare il felse di una gondola nera, la fanciulla e la vecchia sparirono.

Per farla breve, cinque giorni dopo, la vecchia piccola, grassa, grinzosa, dal cappellino ornato di rose, aveva già con infinite astuzie cavato quaranta lire dal salvadanaio disponibile del nostro giovine cauto.

Irene era propriamente la Dea della seduzione. Quando stava ritta il suo mento ovale soverchiava in altezza il cocuzzolo mezzo pelato di Gioacchino, ma si piegava con tanta grazia! Nello slanciarsi, nell’incurvarsi, nell’ondeggiare aveva della pantera; aveva del serpente nell’attorcigliarsi, nell’aggomitolarsi, nello strisciare. E poi era tanto allegra. Il suo labbro superiore rimaneva naturalmente alzato, massime alle estremità in una curva adorabile, che faceva pensare a non so che di canino, e che lasciava sempre vedere i denti bianchissimi. Gl’incisivi dovevano essere arrotati come lame di coltello, ed i canini erano certo puntuti come pugnali. Il riso le stava tanto bene: gli occhi scintillavano e mandava un fremito di gaiezza, che pareva selvaggio.

Gioacchino aveva perso la testa. Andava in calle delle Zotte subito dopo il desinare e vi restava fino alle sette e tre quarti, l’ora di tornare alla Cassa. Vi sarebbe andato anche di giorno se avesse potuto scappare, non fos-