Pagina:Senso.djvu/146

Da Wikisource.
144 santuario

sulle alture. Di mano in mano che si andava in su, il fango scompariva per lasciare posto anche sulla strada alla neve, solcata da poche linee profonde; e, un’ora prima di giungere al Santuario, i due cavalli, sbuffando, sudando, tendendo faticosamente i muscoli, cacciando le gambe nella neve fino alle ginocchia, riuscivano a malapena a tirare il legnetto, di cui le ruote si sprofondavano quasi fino all’asse.

La temperatura, ch’era stata assai mite, essendosi fatta freddissima, principiavo a sentirmi i piedi gelati e le mani intirizzite. Battevo i denti quando, verso le sette, al buio, si giunse nel primo cortile dell’ospizio. Le gradinate magnifiche erano scomparse; qualche pezzo di balaustro, le cimase, i vasi barocchi, non si vedeva altro. Le immense ali dell’edificio s’alzavano tetre, e gli archi aperti del vasto atrio, in quella luce notturna della neve, azzurrognola e pallidissima, sembravano l’ingresso d’un cimitero fantastico.

Il vento cacciava sotto all’atrio un pulviscolo ghiacciato, sottile, turbinante, che si faceva strada fra il collo e la pistagna della pelliccia, fra le maniche e i polsi. Un uomo mi venne incontro con la lanterna; e mentre io gli chiedevo del signor rettore dell’ospizio, e lo pregavo di condurmi subito al fuoco, ecco che s’avanza a un tratto fra lui e me una testina bionda di donna: e le sue labbra sorridevano, ma fissò gli occhi ne’ miei con