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senso 275

— Queste sono parole. Se non hai denaro, dammi i gioielli. —

Non risposi e mi sentii impallidire. Accortosi della impressione che mi avevano fatto le sue ultime parole, Remigio mi serrò tra le braccia di ferro, e mutato tono, ripetè più volte:

— Sai che ti amo infinitamente, Livia mia, e ti amerò finchè avrò un soffio di vita; ma questa vita salvamela, te ne scongiuro, salvala per te, se mi vuoi bene. —

Mi prendeva le mani, e le baciava.

Ero già vinta. Andai alla scrivania a prendere le tre piccole chiavi dello scrignetto: temevo di far romore; camminavo in punta di piedi, benchè avessi i piedi nudi. Remigio mi accompagnò nel gabinetto dietro l’alcova; serrai l’uscio, perchè il conte non potesse udire, ed aperto lo scrigno con qualche difficoltà, tanto ero agitata, ne trassi un fornimento intiero di brillanti, mormorando:

— Ecco, prendi. Costò quasi dodicimila lire. Troverai da venderlo? —

Remigio mi tolse di mano l’astuccio; guardò i gioielli e disse:

— Usurai ce n’è dappertutto.

— Sarebbe un peccato il darlo via per poco. Cerca modo di poterlo ricuperare. —

Mi piangeva il cuore. Il diadema specialmente mi stava tanto bene.

— E i denari me li dai? — chiese Remigio, — mi farebbero comodo. —