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senso 277

solita placidezza una lettera, che, appena vista, le strappai di mano rabbiosamente: avevo indovinato, era di lui, la prima dopo la sua partenza, e mi posi a leggerla con sì furiosa avidità che, giunta alla fine, dovetti ricominciare: non ne avevo capito nulla. Me la ricordo ancora oggi parola per parola, tante volte la lessi e tante volte i casi terribili, che la seguirono, me ne fecero risovvenire:

“Livia adorata,

M’hai salvato la vita. Ho venduto l’astuccio a un Salomone qualunque, per poco, a dire il vero, ma in queste circostanze di trambusti e di spaventi non si poteva esigere di più, duemila fiorini, i quali sono bastati a riempire la vorace pancia dei medici. Prima di dovermi ammalare ho trovato una bella stanza verso l’Adige in via Santo Stefano al numero 147 (scrivimi a questo indirizzo), grande, pulita, con una anticamera tutta per me, da cui si esce direttamente sulla scala; mi sono provvisto di tabacco, di rum, di carte da giuoco e di tutti i volumi di Paolo di Koch e di Alessandro Dumas. Non manco di compagnia piacevole, tutti maschi (non ti agitare), tutti scrocconi, e se non fosse che devo parere zoppo e che di giorno non posso uscire di casa, mi direi l’uomo più felice del mondo. Certo, mi manca una cosa, la tua persona, cara Livia, che adoro e che vorrei avere il