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senso 295

— E se la meriterebbero, per Dio — esclamò ruggendo il Boemo senza cavarsi la pipa di bocca.

L’ufficialetto aggiunse:

— Il generale Hauptmann non aspetterebbe neanche ventiquattr’ore. —

A queste parole l’idea, che già mi stava in nebbia nel cervello, splendette di vivissima luce; avevo trovato, avevo risoluto. — Il generale Hauptmann! — ripetevo tra me.

Le vampe, che mi salivano al capo, m’obbligarono a togliere del tutto il velo dalla faccia; bruciavo: chiamai perchè mi portassero dell’acqua. Gli ufficiali, che allora s’accorsero di me, mi furono tutti attorno. — O la bella donna! — Ha bisogno di qualcosa? — Vuole un bicchierino di Marsala? — Possiamo tenerle compagnia? — Aspetta qualcuno? — Occhi stupendi! — Labbra da baci! — L’ufficialetto magro mi si era cacciato accanto sul sofà: essendo il più giovane voleva mostrarsi il più ardito. Mi svincolai dalle sue mani e cercai di alzarmi per fuggire, ma due altri mi trattenevano; il Boemo sudicio guardava e fumava. Mi rivolsi a lui gridando: — Signore, sono una gentildonna, m’aiuti e mi accompagni a casa, alla Torre di Londra. — Il Boemo si fece largo, dando degli spintoni di qua e di là e mandando quasi con le gambe all’aria l’ufficialetto novello; poi, duro, serio, mettendo in tasca la pipa, m’offerse il braccio.