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vade retro, satana 73

poco a poco una influenza benefica agì dentro di lui; si andò calmando; le labbra cominciarono a biascicar preghiere; il viso bianco si rasserenava, riprendeva la sua tranquilla, dolce, innocente, quasi eterea espressione; e la signora Carlina, riconfortata, esclamava: — Così siete bello, mio buon Don Giuseppe: adesso il cielo vi si specchia nel volto — ; e il prete respirava più libero, e già poteva stringere con la propria mano la mano della ingenua infermiera. Lenta lenta, ella avvicinò la sua bocca pura alla fronte pura di lui. Don Giuseppe non se n’accorse: guardava sorridente il suo Cristo.

In quell’istante s’udì un gran fracasso alla porta di casa, poi un passo incerto e pesante fece scricchiolare la scala di legno, e il dottore, ubbriaco, entrò nella camera sbattendo violentemente sugli stipiti l’imposta dell’uscio. A quell’urto i mobili oscillarono. Allora il Cristo, perduto l’equilibrio, precipitò a terra, rompendosi in tanti pezzi. La testa rotolò in un angolo della stanza; le braccia, le gambe, il torso, si sparsero qua e là; il rosso del sangue pareva sgorgasse dalle membra squartate. Il prete, avendo seguito con lo sguardo quella distruzione, invaso da uno spavento infernale, stravolto, contraffatto, orribile a vedersi, mandò un urlo che gli spezzò il petto.

Quando il medico, fetente di acquavite, s’avvicinò al letto, Don Giuseppe era morto.