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84 macchia grigia

a dritta, e più in là, già ben alto sulla montagna, il campanile di Provaglio. Quasi a piombo, benchè dall’altra parte della strettissima valle, che si strozza in quel punto, lasciando appena appena luogo al fiume ed alla strada postale, si vede dall’alto in basso la chiesetta di San Gottardo, di cui la torre scorcia tanto che diventa nana, e gli archi del piccolo portico sembrano schiacciati. La prima volta poco mancò che non mi venisse il capogiro. Volevo andare più alto, lì dove la rupe nuda, quasi verticale, concede appena il posto per mettere il piede tra le sue strette fessure. Guardai indietro. Il monte, che mi stava alle spalle, tutto ombroso, spiccava sull’aria celestina.

Saranno state le cinque di sera, due settimane dopo il mio arrivo a Garbe. Il sole cominciava a scendere dietro il giogo della montagna; un vento fresco soffiava dalla gola della vallata, e bisognava tenere il cappello perchè non piombasse nel precipizio, quando uno sbuffo impetuoso, mentre coglievo con le due mani non so che strane foglie, lo fece arrotolare un tratto, poi andare a balzelloni dall’una all’altra sporgenza delle acutissime roccie.

Gli dissi addio, e continuavo a capo nudo le mie osservazioni estetiche sulle piante, allorchè, passati appena dieci minuti, mi comparve innanzi all’improvviso una montanara, la quale, un poco imbarazzata e con rustico garbo, mi