Pagina:Serao - All'erta, sentinella!, Milano, Galli, 1896.djvu/160

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146 terno secco


— Che ci volete fare, Eccellenza, è la passione.

— È un vizio, Domenico.

— E allora perchè lo mantiene il governo? E a chi faccio male io, giocando? Non ho figli, non ho moglie, quello che guadagno, mi basta, e quando non mi basta, non cerco niente a nessuno. Mi ubbriaco forse? Dico male del prossimo? Tiro coltellato? Rubo?

— È un vizio — ribattè il magistrato.

— Scusate, Eccellenza, ma qua vi sbagliate. Io non gioco il denaro degli altri, gioco il mio: sono o non sono il padrone?

— Ma se vincessi, che faresti?

— Darei da bere e da mangiare a tutto il vicinato fece lo sciancato, con un gesto di superba larghezza.

— E il resto? Lo giocheresti ancora.

— Eh, si sa! — fece quello con un gesto di obbedienza alla fatalità.

— Da quanti anni giochi, Domenico?

— Da quando avevo otto anni, Eccellenza. Sono cinquant’anni.

— E quanto hai vinto?

— Due volte, soltanto: una volta cinquanta piastre: un’altra volta quindici lire.

— E nient’altro?

— Nientaltro.

— Vedi bene che non vi sono molte probabilità e che il governo ci guadagna.