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o giovannino o la morte | 333 |
nata della matrigna? Due ore erano, certo; e Chiarina, sola nella sua stanza, non osando entrare nel salone, non osando chiamare nessuno, sovraeccitata dalle sue fantasie, e più dal silenzio e dalla solitudine origliava, se udisse un passo, se udisse battere una porta che si chiude. Niente. Per molto tempo, anzi, istintivamente, con un timore vago di peggior male, ella aveva impedito a Giovannino di parlare con la sua matrigna. Ma il giovanotto insisteva, stimando quella l’unica via di salvezza, e un giorno, senza dirglielo, scrisse una lettera a donna Gabriella, chiedendole un colloquio. Strano a dirsi; la matrigna acconsentì subito e anche con cortesia. Alle otto di sera le due donne cenavano silenziosamente: i loro pasti erano sempre taciturni o interrotti da discussioni colleriche.
— Il tuo innamorato mi ha scritto — disse a un tratto donna Gabriella.
— Ah!— fece l’altra, cercando di reprimere un moto di spavento. — E che vuole?
— Vuole parlarmi. Viene domani.
Di nuovo vi fu silenzio. La matrigna aveva parlato seccamente, ma senz’ira: pareva non volesse essere interrogata più oltre. Chiarina, fieramente, non disse altro. Ma fu una notte inquieta, febbrile, per lei, fu un dormiveglia pieno di sogni che parevano realtà, di realtà che parevano sogni. La fanciulla ora si gelava per un terrore inaudito, ora la speranza più dolce le infiammava le vene.