Pagina:Serao - Dal vero.djvu/132

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villeggiatura. 129

tramonto sulla piazzuola e il crepuscolo vi sembrerà sempre meno triste che altrove; rientrerete contento in casa e là potrete leggere, scrivere, inabissarvi nella riflessione, nella rêverie: lo strido del grillo e le ultime voci della notte non potranno disturbarvi. Passerete un mese distratto, allegro, contento, felice. Poichè tutto questo rappresenta la pace, la serenità, il riposo, il lavoro proficuo, perchè fatto nella solitudine, la salute aiutata dall’aria pura, dal lungo esercizio del cammino — poichè tutto questo è bello buono, onesto — e poichè è la natura.

Eppure ciò malgrado, anche nel villaggio, dopo un certo termine, vi incomincia a serpeggiare nelle ossa un qualche brivido di freddo, negli occhi avete un’ombra. Principiate a sentire quel desiderio vago, indefinito, indeterminato, ma fitto, assiduo, continuo, di qualche cosa che non sapete, che non trovate; e v’infastidite, v’irritate di non potervi sottrarre a questo stato dell’animo vostro. Ma che cosa è? Non è forse più così bella la campagna, così cara la pace che vi si gode? Siete voi che vi mutate, è l’antico uomo che fa capolino, è l’intelligenza che si sveglia come prima, è la memoria che si ridesta e con essa i soavi volti lasciati e i dolci amici e le gioconde abitudini ritornano alla mente. La città vi attrae, vi chiama, vi conquista. È un periodo che passa, un altro che ricomincia.