Pagina:Serao - Dal vero.djvu/138

Da Wikisource.

tristia. 135

andava a passeggiare sotto le finestre di lei, contento di vedere che tutto era quieto e silenzioso e che non si mandava pel medico. In ricompensa non voleva nulla, nulla — e se Gemma gli diceva con la sua voce languida ed insinuante: «Come siete buono, Andrea!» egli diventava matto dal piacere, gli scintillavano gli occhi e nell’impeto della riconoscenza si sarebbe prostrato, per sentire sul suo capo il piedino vittorioso della fanciulla.

Ma non sempre costei era umana con lui; gli intervalli di dolcezza erano brevi e rari. Quando Gemma si sentiva meglio, nei bei giorni di primavera, essa si dilettava di quelle premure, di quei sacrifizii, anzi si può dire che cercasse quell’anima sempre fedele, quel cuore sempre sicuro; giungeva sino a domandarsi se Andrea non meritasse di esser amato. Erano i giorni lieti del giovanotto, che si accorgeva subito della buona disposizione: giorni lieti, ma così pochi e scontati dopo così caramente. Per una lieve cagione, per un cielo piovoso, per un capriccio, per un nastro, Gemma ripiombava nella sua noia, nella sua irritazione: i suoi diavoli neri la prendevano pei capelli, ed ella si sfogava, tormentando tutto il mondo. Andrea sopportava, senza mormorare, le parolette amare, gli sgarbi, i lamenti di Gemma: soffriva, soffriva tanto, ma non le rispondeva una parola; lasciava correre la tempesta, chinando il capo, senza sognare neppure d’irritarsi contro la fanciulla. Non ci sarebbe mancato altro! Era invece lei che s’indispettiva di quella rassegnazione; un’ombra nera le passava sulla fronte, le labbra diventavano sottili sottili, stringeva le