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la storia di mario. | 163 |
schiudersi. Quanto potette leggere e studiare, egli studiò e lesse; non seppe più nulla di tempo o di stagioni, dimenticò la sua gioventù, dimenticò l’amore, dimenticò l’amicizia. Lesse fino al capogiro, fino allo stordimento, fino all’ubbriachezza; la testa gli dondolava, quasi troppo pesante; davanti agli occhi abbagliati si formavano immagini lucide, le labbra secche ed aride balbettavano parole confuse. La madre sorrideva e piangeva talvolta di spavento, talvolta di consolazione: sorridere e piangere è il compito delle madri.
Poi volle scrivere. Si sentiva la fantasia troppo piena, mille immagini chiedevano di uscire, per andare a danzare giocondamente nel mondo, il cuore scoppiava di affetto, tutta l’anima traboccava all’esterno. Nella febbrile attività del suo ingegno, in quel succhio giovanile che irrompeva dalla corteccia, scrisse molto e di tutto: furono bozzetti piccoli, graziosi, affettuosi; furono filze di paradossi, difesi splendidamente, simili allo scoppiettìo del fuoco di artifizio; furono novelle ora gaie, ora meste, dove apparivano tante belle figurine, profilate, fuggevoli, sorridenti, innamorate teneramente o freddamente crudeli, sempre originali; furono critiche teatrali dove erano posti da banda i dommatismi, i preconcetti, i subbiettivismi, dove si scorgeva una fede profonda nell’avvenire dell’arte, un sentimento di equità rarissimo; poi dialoghi, schizzi, polemiche letterarie, articoli, bibliografie; una produzione continua, gittata qua e là sui giornali politici, sulle riviste, nelle strenne, dappertutto. Egli fu applaudito e lodato, i lettori lo amarono,