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166 dal vero.


Dio santo! non era vero, non era vero! Portava nella parte più segreta dell’anima sua la concezione di un grande romanzo, di un libro completo e stupendo. Era la sua creazione nascosta, il suo tesoro inesauribile, il fiore delicato del suo cuore, il gruppo dei più soavi sentimenti; quanto vi era di meglio in lui come spirito, come osservazione, come passione. La cara fanciulla che ne era la figura primissima, egli l’aveva tratta dal nulla, l’aveva fatta nascere bella, eterea, senza macchia, immortale; — era la sua divina amante, quella che lo amava unicamente, quella che gli sorrideva sempre, la compagna delle sue ore di solitudine. Il suo bruno eroe, quel cuore leale, integro, nobilissimo, era il suo unico amico, suo fratello, un altro sè stesso, quello che lo confortava negli scoraggiamenti, che lo sosteneva nelle sue debolezze. Il piano del libro era preciso, chiaro, esatto; tutti i fili si annodavano e si distaccavano liberamente, le scene erano pronte: Mario, se chiudeva gli occhi lo vedeva vivo, intiero. Quanti sogni intorno ad esso: che voluttà profonda nello scriverne ogni parola, che acuto piacere nel precisarne i dettagli, che commozione nel tracciarne le parti principali! Il libro è fatto, stampato, venduto, letto da tutti; il pubblico, come Mario, adora la bionda eroina ed il bruno eroe, il pubblico s’impadronisce di quegli affetti e li sente e li condivide — e l’animo dello scrittore si unisce, si confonde con migliaia di anime!

Eppure questo libro non poteva scriverlo. Avrebbe avuto bisogno di sei mesi di quiete, per dedicarsi ad esso solo, per lavorarvi con tutte le forze, senza