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Pagina:Serao - Dal vero.djvu/259

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256 dal vero.

generazioni nella sua famiglia si diventava Pulcinella per inclinazione, per abitudine, per trasmissione nel sangue, come le malattie ereditarie. Quando un fanciullo veniva su, non si pensava ad avviarlo per nessuna carriera, per alcun impiego; il suo mestiere era bell’e trovato, il suo còmpito era quello d’indossare l’abito e di rallegrare seralmente la gente. Era un lavoro faticoso, esclusivo, opprimente, un lavoro inglorioso e poco fruttifero, ma nella mente ristretta e buona degli Starace non entrava l’idea della ribellione alle ingiustizie sociali; erano uomini umili, cortesi, allegri, senza pretese, fedelissimi al teatro dove quasi erano nati e dove morivano, devoti ed ossequenti al loro pubblico, incapaci d’irritarsi contro i suoi capricci, sempre pronti a carezzarlo, a sollazzarlo, a sacrificare per esso ogni cosa. Il bambino andava a scuola, imparava a leggere ed a scrivere, s’infarinava leggermente di tante altre cognizioni; ma la sera la passava nelle quinte a vedere ed a sentir recitare suo padre; ai sedici anni faceva qualche particina da Pulcinellino, ai venti suppliva il padre quando era ammalato; alla morte di lui diventava Pulcinella. E questo regolarmente, senza esitazioni, senza dubbi, come un obbligo, come un dovere, come una fatalità.

Così di Gaetano Starace; si aggiunga che, per un po’ di naturale ingegno, egli si rendeva utile riducendo commedie italiane in dialetto, raffazzonandone delle nuove su tele vecchie, scrivendo parodie di opere serie — e qua e là non mancava dello spirito. Non roba molto fine, è sottinteso, ma pei frequen-