Pagina:Serao - Dal vero.djvu/307

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304 dal vero.


Che può l’artista? Può nelle sue veglie tormentose provare lo spasimo di una idea che rimane velata, latente, incognita, lontana o vicina ma inafferrabile: può inginocchiarsi, battere la fronte sulla nuda terra, spargere lagrime impotenti e supplicare così l’idea di sollevare il suo velo, di rivelargli il volto fulgido, dovesse pure rimanerne acciecato; può, felicissimo evocatore, veder apparire nella notte la celeste fantasima e gridarle: Salve, o divina! Tu sei visione ed io ti farò realtà: tu tremoli come un’apparizione al limitare del mondo esistente ed io renderò fermo il tuo passo e vera la tua vita; ti darò la parola che è suono, che è luce, che è calore, che è sentimento; ti darò per farti vivere la mia anima ed il mio cuore — e tu, parte di me migliore, da me distaccata, da me creata, esisterai!

Ma, dopo questo, l’artista si ritrova deserto e solitario. Si guarda dattorno: qualche cosa gli manca, ha la sensazione di un vuoto enorme. Gli manca il suo grande amico, il giustiziere sconosciuto, il cervello immenso che accoglie e fa sue tutte le novelle idee, l’anima straordinaria che comprende, indovina, intuisce tutte le vere passioni: l’artista ha bisogno di una eco potente, sia di biasimo, sia di plauso: ha bisogno dello sprone che gli punga i fianchi come ad indomito corsiero; ha bisogno della