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trovo? — esclamò Alberto, acceso da quel discorso, disperato di non aver sotto mano quella moglie.

— Ahimè! Alberto, tutti corriamo dietro a un ideale inarrivabile. Anche tu sarai della moltitudine dei sognatori.

— Io vorrei trovarlo quest’ideale — insisteva lui, nella sua ostinazione di creatura debole e capricciosa.

— Cerca — disse Lucia, levando gli occhi al soffitto della stanza.

— Senti, Lucia, mi fai un favore?

— Parla. Perdono, Galimberti, mi date quel ventaglio di piume di pavone?

— Avete caldo, signorina?

— Molto caldo. Ho la febbre, credo. Sapete voi che le piume di pavone sono di cattivo augurio?

— Lo imparo ora.

— Sì, sono iettatrici, come i pennacchi di brughiera sono di ottimo augurio. Me ne potreste procurare?

— Domani...

— Dicevo, Lucia — ricominciò Alberto, senza distogliersi dalla sua idea — che dovresti farmi un favore. Perchè non mi scrivi, sopra un po’ di carta, queste belle cose che mi hai dette? Ti stavo a sentire incantato. Tu parli benissimo. Se tu mi scrivi quelle cose sopra un pezzetto di carta, io, vedi, lo metto in questa divisione del portafoglio, e ogni volta che lo aprirò, mi ricorderò che ho da cercare il mio ideale, cioè una moglie.

— Sei un grazioso matto — disse Lucia, con la sua aria bonaria: — ma in cambio di questa idea peregrina io farò qualche cosa di più. Tutte queste cose