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all’angolo, scoprendo i denti. Alberto si annoiava di già, non avendo una sedia, prevedendo che la stazione sarebbe lunga. Caterina era un po’ preoccupata: l’avevano messa nel giurì pei lavori donneschi, alla mostra didattica. Questo titolo di dama giurata le pareva molto serio e molto compromettente: chi sa che cosa pretenderebbero da lei! E se non fosse stata capace?

— Chi è quell’uomo immenso, con le lunghe basette nere, un po’ calvo, che entra ora? Come è alto! Chi è, signor Andrea?

— È il deputato di Santamaria.

— Dio mio, è più grande di voi. Non lo credevo possibile. È il paese di Gulliver questo. Parlerà?

— Non credo — Quanto mi dispiace che voi non parliate, Lieti. Se fossi stata vostra moglie, vi avrei obbligato a parlare.

Caterina trasalì.

— Non ho pensato a dirglielo — mormorò distratta, pensando alla riunione del giurì delle signore.

— Alberto mio, hai forse troppo caldo? Come ti senti? Vuoi il ventaglio?

— No, non ho caldo: solo vorrei sedermi. Grazie, cara.

— Lieti, cercate una sedia per Alberto. Si stanca così presto: non potrei più rimanere seduta io.

Andrea guardò, cercò, rovistò, tanto fece che trovò un posto ad Alberto, nella fila di dietro, fra due vecchie, alle spalle di Caterina. Alberto si accoccolò fra le gonne, tutto felice.

— Stai bene ora?