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nella testa quel miscuglio di alterezza regale e di bontà amabile, sul volto quel pallore mistico che aveva scolorite le guance e sbiadite le labbra, nella persona quella grazia seducente della donna che ha amato e che ha voluto piacere all’amore. Aveva lasciato i suoi poveri e i suoi bambini, per altri bambini. Quelle trenta signore l’avevano eletta presidente per acclamazione. Un solo uomo vi era fra trenta donne, il segretario, un professore di pedagogia tutto impastato di Froebel e di Pick, un essere miope, calvo, ambiguo, perfettamente innocuo.

Sedevano in circolo le dame giurate. Erano riuniti i tipi più disparati, sui divani di broccato. Da Napoli erano venute tre maestre tedesche: una, lunga, magra, color di mattone, con una reticella verde sui capelli: l’altra, grassa, vecchia, rubizza, vestita di nero: la terza, un asse di legno con una testa di cera piantatavi sopra: tutte tre con gli occhiali legati in oro, con due sacchetti di pelle, tre taccuini e le guide. Parlottavano fra loro in tedesco, con vivacità: l’asse di legno diceva ja, rapidamente, a scatti. Poi, le direttrici degl’istituti di Caserta, di Capua, di Santamaria, di Maddaloni, tutte in fronzoli, molti gioielli di poco valore, abiti di faille nero, colletti freschi e guanti chiari. Un paio di mogli di professori, mal vestite, sgraziate, di quelle che fanno scuola, fanno i figli e la cucina, pallide e smunte, col seno dimagrato e il ventre gonfio. Poi, otto o dieci signore ricche, dei paesi attorno, nobiltà provinciale o borghesia provinciale, mogli di proprietari, mogli di consiglieri comu-