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terno, dove veniva da Gaeta o da Napoli, non sempre fresco. Un giorno, anzi una sera, Caterina aveva mandato a Napoli il colono Peppino per avere delle sogliole: i suoi due ospiti si nutrivano spesso di questa specie di pesce delicato, innocuo. Ora, poi, con queste feste ufficiali, i banchetti, gli alberghi pieni, la roba spariva dal mercato in un momento. Monzù Giovanni, con cui ella teneva consulto ogni mattina, rispondeva a ogni proposta, crollando il capo dubbioso, scettico: — Se lo trovo! Se ci sta in piazza! Se non se l’han preso tutto!

A questo problema difficile pensava Caterina, mentre la principessa Caracciolo pregava le signore di procedere alla votazione, per la elezione di una relatrice generale che riunisse in una le relazioni dei sei gruppi. Caterina temeva sempre di non soddisfare i gusti di Lucia, povera creatura nervosa, il cui stomaco era rovinato. Le aveva fatto acconciare una bella camera, tutta fresca e chiara nel suo cretonne pompadour, una camera piena di ninnoli graziosi, come Lucia li amava. Ma credeva che in segreto Lucia rimpiangesse la mancanza del suo inginocchiatoio, che aveva portato via dalla sua casa di zitella, alla sua casa di maritata, in via Bisignano: un pomeriggio che Alberto e Andrea erano usciti a passeggiare, Caterina era entrata nella camera e aveva trovato Lucia inginocchiata davanti a una sedia, come nel collegio. Se, d’accordo con Alberto, si potesse mandare a Napoli, Peppino il colono, per trasportare a Caserta l’inginocchiatoio e fare a Lucia una bella sorpresa? Non doveva essere una