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nuca, mettendole i nervi in combustione. Andrea non sapeva nulla di questo malessere ignoto, egli che non si lasciava vincere dall’ambiente, egli che poteva vivere sotto il sole e camminare fra due file di bestie, senza provarne alcun turbamento. Egli era sano come la natura è sana. Passarono attraverso il caseggiato delle galline quasi correndo, mentre le chiocce facevano sentire il loro chioccìo in minore, quasi materno, quasi carezzevole. Uscirono nel giardino, rasentando le boxes dei cavalli, dove cominciava ad allungarsi una striscia di sole. Lucia camminava presto, abbassando il capo, sentendo ora fastidio sotto il cranio, sentendo il lievissimo cappello pesarle come una calotta di piombo, provando l’irresistibile bisogno di buttarlo via, di sciogliersi le treccie, lasciarle disciolte per le spalle, di passarsi fra le ciocche, sulla cute calda, le dita gelate.

— Ardo, ardo — diceva ad Andrea.

— Come farete per andare al giurì? — disse questi molto inquieto.

— Ci andrò. Oh questo sole! mi farà morire.

— Che si potrebbe fare per aiutarvi? bagnarvi di nuovo il fazzoletto nell’acqua?

— Sì, sì... oppure, no... andiamo in fretta.

Traversavano il viale. Il toro era lì, infastidito dal sole, puntato sulle zampe di dietro, scavando il terreno con una delle zampe davanti. Poi, tutta la sfilata nuovamente, con l’aria più opprimente, il sole glorioso, le mosche roteanti basso, le teste degli animali appesantite, sonnacchiose. Lucia si tappava la bocca e il naso sino a non respirare più. Arrivò nel salone fresco