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seconda infermiera, le era sempre attaccato alle gonne quando ordinava la colazione e il pranzo; e Caterina aveva una grande pazienza con lui, discutendo le vivande, facendo qualche proposta che egli respingeva, accordandosi, infine. Del resto, salvo quel po’ di raschio in fondo alla gola, raschio stupido e ostinato che lo faceva un po’ tossire la sera, per liberarsene, Alberto si sentiva perfettamente bene. Così non fosse mai andato a fare quella passeggiata, cavalcando Tetillo, in cui aveva traspirato e poi si era raffreddato: ora starebbe benissimo. Quando diceva questa cosa ad Andrea e Lucia, quei due scambiavano un’occhiata rapidissima di compianto.

Poi, Alberto era sempre più innamorato di sua moglie, ronzandole sempre attorno, soddisfatto della chiusura dell’Esposizione che toglieva il pretesto a tante uscite, a tante passeggiate, nelle quali egli si seccava enormemente, egli che non prendeva interesse a nulla e a nessuno. Gli piaceva restare a casa, in camera, sino a tardi, assistendo alla toilette di Lucia, ammirando la figura snella e l’ondulazione dei capelli neri sotto il pettine e le unghie rosee e tutte le minute cure che ella prodigava alla sua acconciatura. Alberto aveva del fanciullo malaticcio e vizioso, che ama stare in mezzo alle gonne, tra gli odori del vinaigre e della veloutine, andando, venendo, rialzando un busto, sedendosi sopra una sottana, sturando una bottiglina, mettendo, un dito sulla pasta dentifricia, fiacco, indolente, infemminito dalla debolezza fisica. E faceva certe domande sciocche, talvolta sapendo di dire una sciocchezza, ma provando