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304 fantasia


— Ecco Caterina.

Infatti, dopo un istante, Caterina rientrò in punta di piedi e trovò il marito seduto al suo posto.

— Non si è mossa?

— No.

— T’ho fatta la tua aranciata.

— Vuoi proprio vegliare?

— Sì, resto: tu non te ne hai a male?

E poichè era nella penombra, per dargli la buona notte, si rizzò e si fece abbracciare. Egli se ne andò, lento lento. Caterina vegliò sino al mattino.


Adesso tutte le lettere finivano: portami via. — Le lettere erano tutte disperate, adesso. Lucia scriveva le cose tragiche, con tale una terribile concisione che egli aveva paura di aprire quelle lettere. Non vi era che peccato, maledizione, suicidio, morte, dannazione eterna, il rimorso dell’inferno, lo stridore dei denti, il gricciore delle fibre, il fuoco. Essa aveva paura di Dio, degli uomini, di suo marito, di Caterina, di Andrea stesso: si sentiva avvilita, perduta, precipitata in un abisso senza fondo. — Morire, morire — esclamava nelle sue lettere. — Oh portami via, portami via! — esclamava ogni tanto. E appariva così veramente infelice, così veramente perduta, che egli s’incolpò di aver rovinato l’esistenza di quella donna, le chiese perdono come a una vittima, come a una martire. — T’ho assassinata: sono il tuo boia: sono il tuo carnefice — scriveva Andrea, che oramai aveva preso lo stile di lei e le formole e il lirismo fantastico.