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370 | fantasia |
per una, con un’attenzione tranquilla, rilesse quei fogli di carta velina, scritti di traverso, di su, di giù. Non sorrideva, non impallidiva, non le tremavano le mani, non le tremavano le labbra. La lettura fu lunga, tanto che alla fine una stanchezza le apparve sul viso. Richiuse la scrivanietta, ne tirò la chiavettina che andò a raggiungere le altre, in tasca. Le erano rimaste in grembo, disordinate, aperte, fuori delle buste, le lettere di Lucia: raccolse il suo abito come un grembiale, andò a inginocchiarsi presso il caminetto acceso, e una per una, foglio per foglio, le lettere furono bruciate. La carta velina faceva una fiammetta alta e breve, poi si spegneva, riducendosi in una cenerina biancastra ed evanescente. Più forte si sentiva il profumo dell’ambra gialla, a cui si mischiava l’odore della ceralacca liquefatta dei suggelli e il puzzo di bruciaticcio. Ella, inginocchiata, il capo inclinato, sorvegliava il rogo. Quando fu consumato, mischiò quelle ceneri a quelle della legna, e si rialzò, ripulendosi macchinalmente la veste alle ginocchia.
La cassa forte, in ferro, era là, accanto al camino. Come la scrivania, Andrea l’aveva lasciata aperta e con la chiave vicino. Ella aperse addirittura e passò in rivista quello che vi era. Andrea aveva portato via centomila lire in cuponi di rendita al latore e in azioni della Banca Nazionale. Rimanevano i titoli intestati, quelli della dote di Caterina, e un fascio di altre azioni. Vi era in un cantuccio gli astucci dei gioielli di Caterina. Ella contò il denaro, classificò le gemme, e sopra un pezzetto di carta scrisse quelle cifre; lasciò