Pagina:Serao - Fantasia, Torino, Casanova, 1892.djvu/381

Da Wikisource.

parte quinta 373


— Dovremmo farli lunedì, dopodomani.

— Facciamoli oggi.

E sopra un angolo della tavola, nel gran libro di servizio, legato in pelle rossa, Caterina fece i conti con Monzù. Gli rimaneva il denaro per un’altra settimana almeno.

— Debbo preparare per la signora sola? — chiese lui.

— Non preparate per me, oggi. Io pranzo fuori. Pensate ai servi.

Girando sui tacchi, se ne andò. Il cuoco rivolse uno sguardo trionfante al servitore: egli lo sapeva che la signora era femmina di coraggio e che non si sarebbe disperata.

Caterina rientrò in camera, guardò l’orologio. Erano circa le tre: non aveva che il tempo di vestirsi. Cavò fuori il suo abito di casimiro nero e la pelliccia. Lentamente, portando alla sua acconciatura le cure più minuziose, si rivestì da capo a piedi. Aveva già stretto i capelli alla nuca, in un grosso nodo, tenuto fermo dal pettine biondo di tartaruga. Si guardò bene nello specchio. Era un po’ pallida, con due striscie rosse sotto gli occhi: del resto aveva la sua fisonomia abituale. Prese il fazzoletto, il portamonete, e se li mise in tasca: calzandosi i guanti neri, chiamò Giulietta.

— Fate attaccare — disse.

Aspettò in camera l’avviso che la carrozza era pronta. Non aveva dimenticato nulla? No, nulla. La casa era assestata da cima a fondo, nulla che trascinasse, nulla che non fosse al suo posto: tutto chiuso, le chiavi passate nell’anello. Vediamo, si era scordata di niente?