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46 fantasia


— Se mi vuoi bene, Caterina, vestiti e vieni.

— Dove andiamo? — osò domandare l’altra, esitando.

— Se mi vuoi bene....

Caterina non chiese altro. Senza far romore si vestì, guardando ogni tanto Lucia. Questa rimaneva lì, come una statua, aspettando. Quando Caterina fu pronta, la prese per mano per avviarsi.

— Non aver paura — le susurrò Lucia, sentendo quella mano gelata.

Traversarono la viottola che divideva i letti del dormitorio. Solo Artemisia Minichini si voltò nel suo letto e parve avesse aperto per un istante gli occhi. Si fermarono, sogguardando. Nessun altro segno di risveglio. Passando innanzi al letto di Friscia, che era l’ultimo, presso la porta, abbassarono il capo, si fecero piccine. Quel momento parve loro un secolo. Quando si trovarono nel corridoio, Caterina strinse la mano a Lucia come se uscissero da un grave pericolo.

— Vieni — mormorò ancora la voce seduttrice di Lucia. — Vieni.

E se la trasse dietro, nella oscurità del corridoio, camminando lenta, ma sicura, sfiorando la muraglia.

Fuori dei finestroni la notte era profonda. Le due ombre bianche andavano a traverso l’ombra nera. Lucia sentiva di nuovo agghiacciarsi nella sua la mano di Caterina.

— Vieni — le mormorava, voltandosi a soffiarle nel viso, come se volesse darle la vita che le mancava.

Erano giunte alla scala. Lucia passò la mano di Caterina sotto il proprio braccio. Caterina aveva chiusi gli occhi: si lasciava condurre, contando macchinal-