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— .... bella e pericolosa, anche in collegio....mi ricordo.... — mormorò Galimberti come distratto, passandosi una mano sulla fronte.

Andrea Lieti spalancava su Galimberti i suoi occhioni azzurri, vivamente bonarii. Il professore restò ritto, in una posa stentata, un po’ curvo, impacciato nel suo abito nero. I calzoni gli stavano troppo larghi, troppo lunghi, e gli facevano molte pieghe alle gambe. Il colletto della marsina saliva troppo, coi risvolti all’antica. Invece della lucida camicia che pare un muro tirato a scagliola, coi bottoncini impercettibili di oro, portava una camicia ricamata, con larghi bottoni di mosaico romano: un pezzo del Colosseo, la Grecostasi, la piazza S. Pietro. Rimaneva lì con le braccia penzoloni, con la testa mostruosa e pensosa, la cui fronte pareva diventata più gialla, più alta, e gli occhi dallo sguardo obliquo e fuggente, imbarazzato, distratto.

— Certo voi vi annoiate molto in questi balli, professore! — esclamò Andrea, alzandosi e passeggiando con la disinvoltura del signore, a cui le spalle larghe squadrano bene la marsina.

— Così.... un poco.... mi ci trovo un po’ isolato — disse Galimberti confuso.

— Ci venite volentieri?

— Due o tre delle mie alunne hanno la bontà d’invitarmi.... ci vengo per sollievo.... studio troppo....

Di nuovo quel gesto stanco di chi vuol liberare la fronte da un pensiero, e l’occhio vagante di chi cerca qualche cosa che abbia smarrito.

— Verrete anche da noi, professore — disse Andrea,