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190 Un suicidio


suno, nessuno cui scrivere, nè un parente, nè un amico, nè una conoscenza, non lo avrebbero rimpianto e maledetto che i suoi creditori: aveva vissuto come un gaudente, solo per l’amore, pel lusso, pel piacere, e moriva così, per queste cose, portando nell’anima come ultimo addio le parole di Gwendaline Harris per cui aveva speso un milione e ottocentomila lire, le parole con cui gli diceva di uccidersi, perchè sarebbe stato più felice, morto. Nessuno, nessuno, non la madre, non una sorella, non una fidanzata, non un amico, niente, niente, non una lacrima umana, su lui: e l’estrema scena della sua vita nella gran solitudine, nel gran silenzio della campagna romana, in quel tristissimo giorno di marzo, camminando e affondando nel fango, era il degno compimento della sua esistenza.

A un tratto, sentì un urto contro una gamba: si voltò. Gli veniva dietro un cane e lo guardava. Era un bruttissimo, sporchissimo e magro cane, che pareva avesse addosso dieci giorni di vagabondaggio e di fame, pel fango della campagna; un