Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/12

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8 telegrafi di stato


ella si doveva trovare in ufficio. Così, alla mattina, cominciava il fastidio: la madre si destava prestissimo e dall’altra stanza la chiamava:

— Mariè?

— Mammà?

— Alzati, che è ora. —

Ella si riaddormentava, col buon sonno delle fanciulle sane e tranquille. Dopo cinque minuti, la madre la chiamava di nuovo, a voce più alta.

— Ho inteso, mammà, ho inteso: mi sto alzando. —

Ma poichè il sonno riabbatteva sul lettuccio quella fanciullona robusta, la madre taceva, vinta: e interveniva il padre, l’ebanista, con la sua grossa voce:

— Mariettella, alzati: se no, paghi la multa. —

Ella, allora si decideva, si buttava giù di un colpo, sbadigliando, non osando voltarsi al letto, per timore di ricadervi accanto alla sorella Serafina: camminava piano, in camicia e gonnella, per non isvegliare i due fratellini, Carluccio e Gennarino, che dormivano nella stessa stanza, dietro una tenda. Andava a lavarsi la faccia in cucina: invece del caffè, che non si usava in casa, mangiava un frutto avanzato alla cena della sera prima e un pezzo di pane stantìo: si vestiva presto. Malgrado questa sua premura, quattro o cinque volte era giunta in ufficio dopo le sette, perchè non aveva l’orologio; la direttrice aveva segnato questo ritardo sul registro e Maria Vitale aveva pagato una lira di multa. Accadeva che dalle novanta lire di mesata, tra le sei che se ne prendeva il Governo per la ricchezza mobile e altre due o tre che se ne pagavano per le multe, si scendesse a ottanta, come niente. Così,