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Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/204

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200 scuola normale femminile


di legno di quercia, scaffali vuoti di libri, neri, tarlati, polverosi; le quarantadue del secondo corso erano entrate nella loro classe, un camerone bianco e freddo, imbiancato alla calce, adorno elegantemente da due carte geografiche; e le trentuno del terzo corso erano andate a malincuore nella stanzuccia umida e bassa che era la loro classe. Dalle porte si udiva un gran cicaleccio, poichè ancora i professori non arrivavano: ma il lungo corridoio era rimasto vuoto; qua e là sul terreno, vi erano delle orme fangose che gli stivaletti delle ragazze vi avevano lasciate. E quelle orme pareva che contemplasse una ragazza, appoggiata allo stipite della porta che dava sulla scala. Stando contro la luce, non si poteva distinguere la fisonomia di quella figura: si vedeva solo che era di media statura, che era magra e che vestiva di nero. Era lì da che le ragazze avevano incominciato a cantare: ed aveva ascoltato senza fare un passo, senza osare di avanzarsi, aveva visto formarsi i corsi e disparire dalle porte delle classi, senza che nulla valesse a smuoverla di lì. In questo si udì un fruscio: era Rosa, la inserviente, un donnone alto, dai piedi enormi, dai polsi nodosi, che pareva un carabiniere vestito da donna, avvolta in una gonnella di lana a quadroni rossi e neri, e in uno scialle di lana rossa. Essa adoperava una grossa scopa rumorosa, per spazzare il corridoio da quel fango e borbottava con quel suo fare di buona donna brontolona. Arrivata alla porta, levò gli occhi e vide quella personcina nera.

— Chi volete? — le domandò bruscamente.

— Il direttore — mormorò l’altra, con voce fievole.

— Non vi è.