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44 telegrafi dello stato


— Io resto qui sino a mezzanotte, — borbottò la Borrelli a Annina Pescara.

— E perchè?

— Per gusto.

— Napoli-Chiaia dà la buona notte.

— Mancano tre minuti alle nove: aspetti, — rispose il direttore, con una grande severità, questa volta.

Finalmente la voce liquida della direttrice:

— Ore ventuno: signorine date pure la consegna. —

Le telegrafiste sfilarono, a una a una, senza fretta salutando solo la direttrice, poiché il direttore non voleva essere salutato. Nell’anticamera, rischiarata da una vacillante fiammella di gas, innanzi agli armadietti aperti, esse s’infilavano i paltoncini, si avvolgevano al collo le sciarpe, mute, il viso concentrato e chiuso nella indifferenza, in un abbrutimento dello spirito. Olimpia Faraone, innanzi allo specchio di mezzo, con certi colpi di piumino, si metteva della cipria nei capelli biondi e le altre non la invidiavano, la guardavano un po’ meravigliate, che avesse ancora voglia di acconciarsi. Ma la sua civetteria, tutta languori, si compiaceva di quello stato di abbattimento. Adelina Markò aveva portato un corpetto di velluto nero, per indossarlo alla fine del servizio; ma, ora, il desiderio le era passato, e, tolte da un bicchiere d’acqua due camelie bianche, se le aggiustava sul petto, nella ricca cravatta di merletto: e tutta la bella persona, dalle dita molli e fiacche, che non giungevano a conficcare una spilla al leggiadro collo biondo e flessuoso, indicava una stanchezza infinita. Esse uscivano di là, salutandosi fiocamente, senza baciarsi, come istupidite, con la fac-