Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/73

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per monaca 69

si sedette al suo posto, tirò a sé la cesta del lavoro che era più grande delle altre, ne cavò fuori una rude tela a righe, una fodera da piccolo materasso, un tessuto duro duro che le sue dita di ferro bucavano rapidamente; la cucitrice non levò neppure il capo, quando entrarono Giulia Capece e Chiarina Althan; il suo lavoro e i suoi pensieri l'assorbivano completamente.

— È poi giunta questa cassa da Vienna, Giulia? — domandò Eva, prendendole dalle braccia il mantello di pelliccia e sorridendo a Chiarina Althan.

— Sì, non fosse mai arrivata! — esclamò la bellissima fanciulla, snella come uno stelo; — tanta curiosità, tant'aspettazione! Non t'ho fatto leggere la lettera di mia zia, da Vienna? Pareva che nella cassa vi fossero le sette meraviglie! Proprio! Ma che si burlano di noi le sarte viennesi! Non abbiamo occhi, gusto, intelligenza, che ci mandano dei vestiti azzurri carichi di rose?

— Oh Gesù! — esclamò Eva, scandalizzata.

— Più un cappellino, con un pappagallo verde impagliato; — soggiunse Chiarina, col suo sorrisetto un po' enigmatico. — Pare che sia il pappagallo della zia di Giulia, un sacrifizio alla parentela, un'anticipazione alla eredità. Quando metti quel cappellino, Giulia, fa una circolare alle amiche, facendo appello alla loro affezione per aver pietà della tua sventura.

— Io non lo metterò mai, mai! — esclamò Giulia, quasi con le lagrime agli occhi; — lo darò a Concetta la cameriera.

— E tua zia ti disereda; — soggiunse Chiarina, ridendo.