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98 La Conquista di Roma

stoffa molle, un goletto alto di tela bianca, chiuso da un ferro di cavallo in oro.

«Vuol favorire?» chiese la signora.

Uscirono insieme sul pianerottolo: ora si vedeva il pallore opaco, di avorio, di quel volto trentenne e gli occhi di un nero cupo, torbido, di carbone, con qualche cosa di claustrale, dentro. La mano bianca e grassa della signora si arrotondò mollemente sulla chiave. Il quartino era piccolo, ma luminoso, gaio, come se fosse nel sole dell’aperta campagna. Il salottino aveva un mobilio di tela stampata, grigio e rosa, molto carezzevole alla vista: lo specchio era ovale con una cornice di legno, intagliato; una dormeuse, lunga e bassa, era distesa presso il balcone, innanzi a cui pendevano delle tendine larghe, di mussola ricamata, molto fitta: senza bracciuoli, a pieghe profonde, esse trascinavansi per terra. Una grande raggiera di fotografie era disposta bizzarramente sul muro, come se vi fossero state buttate a caso: un tavolincino da scrivere, minuscolo, su cui era appoggiata una cornice da fotografia, di felpa rossa, senza ritratto. La stanza da letto aveva un mobilio di raso in lana azzurro-pallido, una coltre simile sul lettuccio, velata da