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102 La Conquista di Roma

si era certo sdraiata la dama russa, a sognarvi i suoi sogni di straniera bizzarra, quel tavolino piccolo su cui aveva scritte le sue lettere, quella toletta davanti a cui si era acconciata, questo interno femminile gli si ripresentava: ma più di ogni altra cosa, lo interessava quella cornice rossa, a cui mancava il ritratto, come se fosse stato portato via in fretta, da una viaggiatrice affannosa.

Non si poteva figurare la faccia di quella dama russa: e al posto vuoto che la immaginazione non sapeva riempire ritrovava sempre l’ovale pallido, quella carnagione di avorio della signora, su cui scendevano le onde molli dei capelli castagni. Involontariamente, era entrato nel Caffè Aragno, nell’ultima stanza stretta e solitaria e si era fatto servire un cognac per scuotere quella depressione.

La signora di Capo le Case gli ricompariva, ma con contorni meno precisi: più nettamente, ora, gli si ripresentava la donna dal mantello di lontra, incontrata per le scale, in Via del Gambero; ne aveva visto il piede, arcuato, snello, che si appoggiava con precauzione sugli scalini, lungo la ringhiera di ferro, — e avrebbe voluto sapere dove andava, poichè, turbata da quell’incontro, ella aveva finto di picchiare alla porta