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La Conquista di Roma 143

tanto dava uno sguardo circolare alle tribune, cercandovi forse una persona. I segretari stavano immobili, seduti alla sua destra e alla sua sinistra: Falucci, l’abruzzese, alto e nerboruto, con una zazzera riccia, un po’ brizzolata, diceva tratto tratto, sottovoce, una parolina al bel Sangarzia che approvava col capo, senza rispondere, avvezzo alle lunghe pazienze silenziose; Varrini, il calabrese gentile e intelligente, dalla testa di sorcetto astuto, con una finezza di damina sopra una gagliardia di tribuno, scriveva delle lettere; e Bulgaro, il napoletano, faceva scricchiolare la sedia sotto il suo grosso corpo, portando sul viso imbronciato le tracce di una noia quasi infantile. Non più, come negli altri giorni, durante le piccole discussioni, al banco della presidenza, un viavai di deputati che facevano un discorsetto col presidente, scambiavano una barzelletta con qualcuno dei segretari e ridiscendevano dall’altra parte: poi, una passeggiatina fuori, a brevi intervalli, due chiacchiere fatte nella sala dei passi perduti: la seduta passava via. Ma il ministro faceva, oggi, una esposizione molto seria; bisognava ascoltarlo, ministeriali e oppositori.

La destra, una sessantina, quasi tutti vecchi