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234 La Conquista di Roma


«Tanto meglio. Il medico ce l’avete?»

«No.»

«Prenderemo il solito Alberti,» disse Scalìa, «ci penserò io, questa sera.»

Un fanciullo in piccola livrea, che portava scritto sul berretto Caffè di Roma, entrò nella trattoria, cercando qualcuno. Era un biglietto per l’onorevole Sangiorgio.

«Il presidente della Camera mi manda a chiamare, al Caffè di Roma, dove resta fino alle nove e mezzo.»

«E voi andateci,» rispose Castelforte, «ma siate fermo, non vi lasciate convincere.»

«Scalìa, Scalìa,» chiamò dall’altro tavolino il molosso Paulo, che non poteva resistere, «badate al posto del duello. Che sia vicino a una casa, a una osteria, a una capanna, a un ricovero qualunque. Da che ho dovuto ricondurre per tre miglia di strada maestra, piena di sassi e di solchi, il povero Goffredi, con una ferita nel polmone, che boccheggiava e sputava sangue a ogni sbalzo della carrozza, ho fatto voto che, se non vi è un letto pronto a cinquanta passi, non faccio il padrino.»