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250 La Conquista di Roma

sopopea, romantica e orgogliosa di sè medesimo, e alle parole del medico o dei padrini non poteva più rispondere che con qualche movimento del capo più vibrato del solito. I cavalli, per la salita, rifiatavano forte; in fine, a villa Glori, cominciò la discesa. Allora, di nuovo, la carrozza si slanciò di gran trotto. Erano cessate le mura: oramai a destra e a sinistra le siepi fiorite passavano rapidamente davanti agli sportelli. A Sangiorgio parve un momento che delle ragazze corressero, offrendo fasci di biancospino. Poi cessarono le siepi, e la carrozza entrò fra due file di olmi che fremevano cupamente, agitati dal vento. Poi si fermò. Allora, un gran brivido corse i nervi di Sangiorgio, e quel piccolo rossore sotto gli occhi subito sparve. Erano arrivati. Egli si volle slanciare; Castelforte lo trattenne.

«Restate in carrozza col dottore. Il luogo non è fissato precisamente. Aspettate un poco.»

Scesero i padrini. Sangiorgio affacciò il capo allo sportello. Erano giunti primi. La Casina dell’Acqua Acetosa era abbandonata: le porte chiuse, le persiane chiuse: non vestigio d’anima viva. La grande spianata si stendeva lungo il fiume, verde, senza alberi, senza uomini: sola-