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La Conquista di Roma 327

di acque lustrali e di profumi, di capelli disciolti e di fiori sparsi, di veli volanti e di gioielli luccicanti, di stoffe spiegate e di molli pellicce, il gran mistero d’Iside della donna moderna, si compiva come in un tabernacolo.

Un desiderio sempre più cocente di sapere, di udire, assaliva Sangiorgio in quel tepore della stanza da pranzo, fra tanti discorsi di politica, tanto odore di inchiostro: un desiderio che nasceva da quel posto bianco e vuoto dove il seggiolone di legno era accostato, come se allora allora ne fosse partita colei che l’occupava: che nasceva da quel ramo di gigli rossi, i focosi gigli di san Luigi, che pare uniscano alla purezza il calore della passione. Almeno fosse venuta fuori un momento, a salutare suo marito, a salutare il suo ospite: si fosse fatta vedere, fiorente di gioventù e di bellezza! A ogni schiuder di porta, come l’ora si avanzava, Sangiorgio trasaliva, chiudendo gli occhi, credendo di vederla comparire nello splendore della venustà e della acconciatura. Ma di nuovo capitava un dispaccio, un plico, una lettera: a un certo momento, don Silvio cavò di tasca la cifra per interpretare un telegramma politico. Dov’era dunque donn’An-