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332 La Conquista di Roma

fondeva quello dell’altra, per essere a sua volta assorbito e confuso: e nulla si discerneva di colori e di stoffe, si vedeva solo un po’ di corpetto, un lembo breve di spallina che talvolta un fiore o un nastro o un gioiello copriva. E quello che vinceva tutto, sul molle soffio del velo, sulla lucentezza del raso, sulla delicatezza del merletto, sulla pesantezza nera dei capelli, sulla leggerezza delle chiome bionde, sulla pelle quasi viva dei guanti, sulla carnagione del collo, delle spalle, del braccio, era il gioiello, più di tutti lucido, vivido, colorito, iridescente, era il gioiello trionfante.


E su quella triplice profondità scintillante, quella che sgorgava, che si allargava, che dominava tutto, era la plasticità varia, infinita, delle braccia e delle spalle denudate. Qui il biancore anemico e freddo che più si assomiglia alla glacialità del marmo e che gela lo sguardo che vi si ferma; e qui il perlaceo, la carnagione dalla trasparenza levigata che nessun’ombra verrà mai a colorire; subito dopo la carnagione bianca e forte, sotto cui scorre, come un flutto, il sangue ricco, una stoffa rossa dietro un tessuto leggiero